Azione di rivalsa della struttura sanitaria verso il medico responsabile del danno al paziente: verso una nuova forma di responsabilità civile da “rischio dell’impresa sanitaria”?

Azione di rivalsa della struttura sanitaria verso il medico responsabile del danno al paziente: verso una nuova forma di responsabilità civile da “rischio dell’impresa sanitaria”?
19 Dicembre 2019: Azione di rivalsa della struttura sanitaria verso il medico responsabile del danno al paziente: verso una nuova forma di responsabilità civile da “rischio dell’impresa sanitaria”? 19 Dicembre 2019

Con la sentenza n. 28987/2019 pubblicata l’11.11.2019, la Cassazione civile ha affrontato, per la prima volta ex professo, il tema della “corretta identificazione del contenuto e dei limiti dell’azione di rivalsa… esercitata dalla struttura sanitaria nei confronti del medico” (dipendente o libero professionista) in essa operante che abbia cagionato un danno ad un paziente.
La teorizzazione formulata al riguardo era finalizzata a decidere se, in tale ipotesi, la struttura sanitaria (pubblica o privata) abbia diritto di rivalsa per l’intera somma pagata a titolo di risarcimento o solo per una sua quota.
La questione è assai rilevante, considerato l’importante contenzioso esistente tra strutture, medici e pazienti.
La sua importanza era stata peraltro enfatizzata dal fatto che la controversia decisa dalla Corte fosse stata trattata in udienza pubblica proprio per “la [sua] natura nomofilattica”.

Il primo interrogativo che la Corte si è posta ha riguardato la natura della responsabilità civile della struttura sanitaria per i danni iatrogeni, in merito alla quale essa ha osservato che “la responsabilità di chi ha volontariamente incaricato l'ausiliario [e cioè della “struttura sanitaria” in cui il medico ha prestato la propria attività al paziente], e organizzato attraverso questo incarico l'esecuzione della propria obbligazione per i fini negoziali perseguiti, è, appunto, per fatto proprio, e non altrui”.
E quindi configura una responsabilità contrattuale ex art. 1228 cc., e non extracontrattuale ex art. 2049 c.c..
Per la Corte tale conclusione oggi si fonda sul diritto positivo, poiché il disposto “dell'art. 7, comma 1, della legge n. 24 del 2007” (la cd. “legge Gelli”) dispone che “la struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica o privata che, nell'adempimento della propria obbligazione, si avvalga dell'opera di esercenti la professione sanitaria, anche se scelti dal paziente e ancorché non dipendenti della struttura stessa, risponde, ai sensi degli articoli 1218 e 1228 del codice civile, delle loro condotte dolose o colpose”.
Tale precetto riguarderebbe tanto i medici che esercitino la loro attività quali dipendenti della struttura, quanto quelli che, essendo liberi professionisti, abbiano contrattato direttamente col paziente la loro opera professionale, servendosi della struttura solo per i servizi “alberghieri” e di supporto sanitario che questa poteva prestargli (come la sala operatoria, i laboratori, la strumentazione diagnostica…).

La conseguenza che la Corte ricava da tale presupposto è l’esistenza di un vero e proprio “rischio d’impresa” della struttura sanitaria, tipico dell’attività da questa esercitata.
L’avveramento del rischio in questione, per quanto dovuto ad un fatto altrui, e cioè del medico che ha cagionato il danno, darebbe luogo, secondo la Corte, ad una sorta di “responsabilità organizzativa” dell’impresa sanitaria:
se la struttura si avvale della "collaborazione" dei sanitari persone fisiche (utilità) si trova del pari a dover rispondere dei pregiudizi da costoro eventualmente cagionati (danno): la responsabilità di chi si avvale dell'esplicazione dell'attività del terzo per l'adempimento della propria obbligazione contrattuale trova radice non già in una colpa "in eligendo" degli ausiliari o "in vigilando" circa il loro operato, bensì nel rischio connaturato all'utilizzazione dei terzi nell'adempimento dell'obbligazione (Cass., 27/03/2015, n. 6243), realizzandosi, e non potendo obliterarsi, l'avvalimento dell'attività altrui per l'adempimento della propria obbligazione, comportante l'assunzione del rischio per i danni che al creditore ne derivino (cfr. Cass., 06/06/ 2014, n. 12833)”.
Questo perché il medico opera “pur sempre nel contesto dei servizi resi dalla struttura presso cui svolge l'attività, che sia stabile o saltuaria, per cui la sua condotta negligente non può essere agevolmente "isolata" dal più ampio complesso delle scelte organizzative, di politica sanitaria e di razionalizzazione dei propri servizi operate dalla struttura, di cui il medico stesso è parte integrante”.
Si tratterebbe di una particolare forma di responsabilità “oggettiva” ovvero di “responsabilità da rischio d'impresa(sanitaria),  perché “destinata a scaturire "ex se" da un'attività che impone - dovendo conformarsi a criteri di organizzazione e gestione certamente distinti da quelli che governano la condotta del singolo medico - l'adozione di uno stringente "standard" operativo, vada a modellarsi secondo criteri di natura oggettiva”.

La conseguenza pratica che la Cassazione trae da questi presupposti è che, in caso di malpactice medica, sussisterebbero due distinte e diverse responsabilità nei confronti del paziente.
Quella del medico, per “colpa medica”, e cioè per imperizia, negligenza, imprudenza.
E quella della struttura, per la suddetta responsabilità “oggettiva” derivante dal “rischio d’impresa” sanitaria.
La conclusione che la Corte trae da tali premesse è che la struttura sanitaria non può rivalersi sul medico per l’intera somma del risarcimento dovuto al paziente, in quanto parte di questa deve rimanere a suo carico, in ragione della citata, sua responsabilità diretta.

La Corte si è, poi, chiesta quale sia la misura di tale corresponsabilità della struttura sanitaria.
Ed ha derivato la risposta a tale quesito dal disposto degli artt. 1298 e 2055 c.c..
La norma che se ne desume, invero, prevede una presunzione di “pari colpa” dei corresponsabili di uno stesso evento dannoso, salvo che non sia data la prova di una diversa rilevanza delle responsabilità dei diversi condebitori.
Ne consegue che normalmente il diritto di rivalsa della struttura sanitaria verso il medico avrà per oggetto il 50% della somma corrispondente al risarcimento liquidato al paziente danneggiato.
Per quanto la sentenza non lo espliciti, la regola della presunzione di “pari colpa” è destinata a valere anche nel caso in cui i medici responsabili del danno siano più d’uno, per cui in questo caso dovrà essere ripartito, in sede di rivalsa, il risarcimento del danno dovrà esser ripartito in pari misura fra ciascuno di essi e la struttura sanitaria. 
Tale presunzione potrà essere superata solo nel caso che la condotta del medico (o dei medici) configuri “non soltanto la colpa esclusiva”, sotto il profilo tecnico, ai fini del danno, ciò che è normale in casi di tal genere, ma sia stata “del tutto dissonante rispetto al piano dell'ordinaria prestazione dei servizi di spedalità”, e cioè talmente anomala da risultare “straordinaria, soggettivamente imprevedibile e oggettivamente improbabile”.
Solo in tal caso la struttura sanitaria potrà, dunque, rivalersi sul medico per l’intera somma anzidetta, dovendo ritenersi che il danno sia stato cagionato in via esclusiva dalla condotta del medico proprio a causa della sua abnormità.
Si noti il parallelismo di questa prospettazione col principio giurisprudenziale inerente alla causa di esonero da responsabilità datoriale ex art. 2087 c.c. rappresentata dal “comportamento abnorme” del lavoratore infortunato, caratterizzato da “inopinabilità e esorbitanza” rispetto “al procedimento lavorativo tipico e alle direttive ricevute” (da ultimo: Cass. civ. n. 16047/2018).

La Corte ha, quindi, sintetizzato tali concetti nel seguente “principio di diritto”:
«In tema di danni da "malpractice" medica nel regime anteriore alla legge n. 24 del 2017, nell'ipotesi di colpa esclusiva del medico la responsabilità dev'essere paritariamente ripartita tra struttura e sanitario, nei conseguenti rapporti tra gli stessi, eccetto che negli eccezionali casi d'inescusabilmente grave, del tutto imprevedibile e oggettivamente improbabile devianza dal programma condiviso di tutela della salute cui la struttura risulti essersi obbligata».

La soluzione proposta appare condivisibile, seppur col rilievo che per affermare la responsabilità della struttura sanitaria per fatto proprio non pare necessario evocare la categoria della responsabilità “oggettiva”, bastando far riferimento alla “presunzione di colpa insita nella responsabilità nascente dall'illecito contrattuale” (Cass. civ. n.  21225/2015).
Va, inoltre, osservato che la sentenza pare far riferimento ai soli danni cagionati dai medici che, a vario titolo (quali lavoratori dipendenti o collaboratori in regime libero-professionale) siano inseriti nell’organizzazione aziendale della struttura sanitaria che abbia contratto col paziente danneggiato l’obbligazione di eseguire la prestazione di diagnosi e/o cura poi inesattamente adempiuta.
E sembra perciò lasciare aperta la questione relativa a quegli altri casi in cui la struttura si sia obbligata nei riguardi del paziente per i soli “servizi alberghieri” e/o sanitari (attività di laboratorio, disponibilità di macchinari o apparati diagnostici, sala operatoria…) di natura ancillare rispetto alla prestazione di diagnosi e/o cura che, invece, sia stata assunta in proprio direttamente dal medico libero professionista.
Questi casi, invero, anche ai sensi dell’art. 7 della “legge Gelli”, esorbitano dal novero di quelli in cui la struttura sanitaria “si avval[e] dell'opera di esercenti la professione sanitaria” per adempiere ad una “propria obbligazione” e conseguentemente la norma ne stabilisce la responsabilità “per fatto proprio”.
Pertanto, una sua ipotetica responsabilità connessa alla condotta del medico che abbia assunto in proprio tale obbligazione non potrebbe di certo ricondursi a questo precetto normativo.

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